Quando Icaro cadde dallo spazio – 30 anni fa, la tragedia del Challenger

(Lo stemma della Missione Challenger del 1986 - © 1986 NASA)

(Lo stemma della Missione Challenger del 1986 – © 1986 NASA)

Sono passati 30 anni da quel 28 Gennaio del 1986.

Io ero un bimbetto che aveva iniziato da un anno le elementari.

Se ne parlarono a casa non ricordo, credo di no, ho scoperto questa pagina di storia della corsa allo spazio solo molti anni dopo, alle superiori.

Sto parlando della tragedia che colpì la NASA e l’equipaggio dello Space Shuttle Challenger il 28 Gennaio del 1986.

Sino ad allora la NASA, aveva avuto sì vittime in alcuni dei suoi programmi spaziali (come nel caso della Apollo 1 o degli incidenti nelle esercitazioni per il programma Gemini), o incidenti risolti poi all’ultimo minuto (come nel caso dell’Apollo 13), ma erano stati fra virgolette contati come “parte del gioco” nell’era dei programmi spaziali nella sua fase pioneristica.

Negli anni 80 la NASA aveva ormai sviluppato una sua fama di affidabilità e standard di sicurezza alti, specie dopo i programmi Skylab (l’antesignana dell’attuale ISS) e i primi programmi congiunti con l’URSS (il programma Apollo-Soyuz), quando nel 1983, dopo un lungo lavoro iniziato nel 1972 con il suo progenitore Enterprise, faceva debuttare per la prima volta lo Space Shuttle Challenger.

(Il Challenger in decollo - © 1983 NASA)

(Il Challenger in decollo – © 1983 NASA)

Il Challenger si rivelò molto efficiente, nonostante non era inizialmente previsto il suo impiego nello spazio, dimostrò invece la praticità dello Space Shuttle non solo nelle missioni spaziali standard, ma anche nel lancio e trasporto dei satelliti, che fino ad allora era stato esclusiva dei missili il loro lancio e rilascio nello Spazio.

Nel 1986 il Challenger era alla sua decima missione, la prima che avrebbe visto una civile salire sullo Shuttle e partecipare a una missione spaziale.

Dell’equipaggio facevano parte il Comandante Francis “Dick” Scobee (alla sua seconda missione), il Pilota Michael J. Smith (Veterano del Vietnam, alla sua prima missione spaziale), gli
Specialisti di missione 1 Judith Resnik (che aveva effettuato la missione inaugurale con lo Shuttle Discovery), Ellison Onizuka (nella prima missione con il Discovery per la Difesa), Ronald McNair (anche lui alla seconda missione con il Challenger), gli specialisti del carico utile Gregory Jarvis (alla sua prima missione) e Christa McAuliffe (Insegnante, prima civile a salire su uno Shuttle, grazie al programma “Teacher In Space”). La partenza doveva avvenire il 22 Gennaio, ma il ritardo della fine della missione precedente (che atterrò il 18 Gennaio) e delle cattive condizioni meteo, provocarono  lo slittamento della partenza al 28 Gennaio, proprio quelle stesse condizioni meteo che causeranno il disastro e la morte di tutto l’equipaggio.

(L'Esplosione del Challenger dopo il decollo - © Kennedy SApace Center/NASA 1986)

(L’Esplosione del Challenger dopo il decollo – © Kennedy SApace Center/NASA 1986)

 

Lo shock fu maggiore perché non solo i lanci era un evento seguito da decine di migliaia di persone nei dintorni della base di Cape Canaveral, ma anche dai milioni che seguirono la diretta TV dell’evento, immagini che ancora oggi creano sgomento e atterriscono:

 

 

Dopo la tragedia partì ovviamente una lunga inchiesta per accertare le cause, che furono subito identificate in cause sia di carattere strumentale (i moduli dello Shuttle venivano realizzati in 4 parti e poi assemblati dalla Nasa, un non corretto assemblaggio dei Field Joint fu probabilmente una delle cause), unite alla temperature rigide che avevano creato strati di ghiaccio sullo Shuttle che aveva fatto pressione creando crepe e un eccessiva burocrazia nelle procedure (erano state riscontrate anomalie ai Field Joint dai costruttori segnalate alla NASA, ma non arrivate in tempo per fermare le procedure di lancio) furono la causa della tragedia.

Oggi a 30 anni di distanza ancora quella tragedia (unita a quella anni dopo della Columbia del 2003) ancora è viva nei ricordi della popolazione americana e ha rischiato di porre uno stop alle operazioni spaziali, giudicate spesso dall’opinione pubblica “inutili, costose e senza reali applicazioni nella vita delle persone”. Si sbaglierebbe invece.

La conoscenza, l’esplorazione di nuovi confini, di nuove teorie e di sviluppo di nuovi metodi di sopravvivenza in ambienti non adatti alla vita sono basilari per le nostre future generazioni, con un pianeta che abbiamo maltrattato e non custodito a dovere, oltre al fatto che la Scienza deve avere la possibilità di continuare il suo percorso di infinita ricerca e scoperta, anche se è possibile che accadono ancora tragedie come quella del Challenger.

Anche per onorarne la memoria di persone morte non per inseguire ricchezze o ambizioni personali o potere, ma morti per uno scopo fra i più nobili: elevare la ricerca scientifica a un gradino superiore, per il bene dell’Umanità.

(Lo sfortunato equipaggio della missione Challenger - © NASA Human Space Flight Gallery/NASA 1985)

(Lo sfortunato equipaggio della missione Challenger – © NASA Human Space Flight Gallery/NASA 1985)

 

Verso l’Infinito e Oltre.

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