Anno nuovo e, grazie ai nuovi provvedimenti, possiamo tornare a visitare, in sicurezza e nel rispetto delle regole che sono state messe in campo per contrastare la Pandemia, Mostre e Musei.
E quindi, torniamo a farvi conoscere quei Musei che sono fuori dal grande giro del turismo di massa e delle grandi città d’Arte.
Per iniziare questo nuovo viaggio del “Il Museo che non ti aspetti”, ho però deciso di parlare, in occasione del Giorno della Memoria appena trascorso, di un piccolo ma importante museo, fra i pochi in Italia e unico nel suo genere in Toscana, dedicato proprio alla Memoria e alla conservazione della Storia della Shoah e dell’Olocausto.
Il Museo della Memoria e Deportazione: perché ricordare è importante
La Fondazione “Museo e Centro di Documentazione della Deportazione e Resistenza – Luoghi della Memoria Toscana” nasce nel 2007 per iniziativa dei comuni di Prato e della Provincia pratese, di ANED e ANPI Prato e della Comunità Ebraica di Firenze; fra i sostenitori della Fondazione, l’Associazione Gemellaggio Prato-Ebensee, la cittadina austriaca che aveva ospitato un campo di concentramento nazista dove finirono e morirono diversi cittadini toscani e pratesi (oltre ad ebrei toscani, finirono anche partigiani, prigionieri politici e molti degli operai pratesi che parteciparono agli scioperi del 7 Marzo 1944).
I superstiti del campo, tornati sul luogo dove sorgeva e scoperto che era abbandonato e in corso di smantellamento, decisero di salvare e raccogliere numerosi oggetti e resti dello stesso e portarli nei loro paesi, per serbare e mantenere vivo il ricordo di quel periodo terribile e della loro sopravvivenza.
Questi, cimeli, insieme alle testimonianze scritte e orali dei superstiti pratesi, vengono raccolti, catalogati e sistemati, nel 2002, nel Museo, che viene inaugurato il 10 Aprile 2002 da Carlo Azeglio Ciampi, a Figline di Prato (PO).
Il Museo è inizialmente gestito dal Comune, che poi passa la gestione alla Fondazione creata per gestire il Museo, nel 2008; nel 2010 anche la Provincia entra a far parte dei sostenitori della Fondazione.
Nell’Oscurità cerchiamo la Luce della Memoria
il Museo si divide sostanzialmente in due ambienti: il primo, didattico, che ci riassume la storia della Persecuzione degli Ebrei e delle altre minoranze (etniche, religiose, sessuali ecc) che finirono coinvolte nell’assurdo progetto della Soluzione Finale nazifascista; vediamo poi l’inizio delle deportazioni anche in Italia e poi nel dettaglio, la storia del Campo di Ebensee e dei prigionieri toscani finiti nel suddetto.
Il secondo ambiente, in una atmosfera semibuia, illuminata da squarci di luce, ci cala invece nel mondo del Campo di Ebensee, dei suoi prigionieri, delle torture, le privazioni, le condizioni terribili dei prigionieri.
In teche varie, appena illuminate (per ricreare le condizioni in cui i prigionieri di Ebensee – usati per scavare e lavorare nelle profonde e insidiose gallerie della vicina montagna – erano costretti a vivere la loro quotidianità) trovano posto i vari cimeli e resti della vita del campo.
Vestiti laceri, scarpe e zoccoli consunti, scarni effetti personali, le ormai arcinote divise a righe, coi triangoli di stoffa che identificavano la “colpa” del prigioniero per cui era lì, gli attrezzi da lavoro nelle grotte, i pezzi di filo spinato.
E le foto, del campo, del prigionieri, fatte dai militari nazisti e da quelli americani che liberano il campo il 7 Maggio 1945.
E alle pareti, in tanti schermi, le testimonianze video dei sopravvissuti, i loro racconti, la loro voce. Accompagnati da un membro dello Staff del Museo, abbiamo vissuto tutto questo e, pur non essendo probabilmente paragonabile all’esperienza di entrare fisicamente in un Lager e vedere davvero quei posti, abbiamo avvertito il disagio e il senso di sopraffazione che possono aver vissuto le persone in quell’Inferno.
Figline di Prato, una Memoria Resistente
Qualcun* potrebbe trovare strana la scelta, per un Museo simile, di un piccolo paesino della provincia pratese, invece di una sede museale magari in centro a Prato o Firenze; ma la scelta di Figline non è casuale.
A Figline avviene l’ultimo eccidio delle truppe nazifasciste nel pratese proprio nel mentre gli Alleati e le forze partigiane liberano Prato il 6 Settembre: 29 Partigiani (quasi tutti pratesi, assieme a 3 partigiani russi) vengono catturati la notte prima, condotti a Figline e impiccati alle travi di legno dell’arco di Via Maggio; solo nel 2003 il Maggiore della Wehrmacht Karl Laqua viene riconosciuto autore della strage (ma mai andrà a processo, che verrà archiviato come procedimento nel 2005).
Non è quindi casuale la scelta di Figline, paese simbolo della follia nazifascista: il Museo sorge a poche decine di metri dal Luogo dell’eccidio, dove a commemorare la vicenda c’è lo splendido monumento del pratese Leonetto Tintori (la cui casa-museo e laboratorio sono vicino a Figline) del 1980 e il monumento, nella piazzetta vicina (che conserva anche alcune delle corde originarie con cui furono impiccati i partigiani) realizzato nel 1960.
In tempi come questi, dove sembra tornare forte sentimenti di intolleranza razziale, xenofobia e dove l’estrema destra sembra trovare sponde nella politica dal sovranismo, una visita a un Museo come questo è alquanto utile per tenere viva la Memoria e per far capire alle persone come sia tremendamente facile tornare a periodi oscuri della storia come quelli dell’Olocausto e della Shoah.
Foto © Enrico Bertelli “Taigermen” – 2021
Come sempre, Link utili per poter visitare il Museo e avere notizie per le visite (al momento, visto la situazione, solo su prenotazione):