E’ difficile cercare di non essere ridondanti di parole, per commentare la scomparsa di Letizia Battaglia.
Cercare di non lanciarsi in incensanti elogi su quanto sia stata importante, nella fotografia di reportage e nella fotografia in generale, il contributo dato da questa artista italiana, è una impresa ardua.
Il suo B/N ha raccontato le pagine più crude della cronaca italiana e della guerra di Mafia a Palermo e in Sicilia, ha raccontato la povertà dei quartieri abbandonati dalle istituzioni della sua città negli anni più duri e sanguinari.
Ha raccontato, in Italia e nel Mondo, l’infanzia, quella più emarginata e vittima, con una crudezza e innocenza che si rifletteva nelle sue foto.
Per lei, come raccontava stesso, la fotografia è stata la salvezza a una vita priva di libertà, per la sua condizione di donna e, attraverso le foto, ha raccontato questa sua voglia di libertà e riscatto, fotografando spesso donne a confronto con ambienti ostili a loro.
Con le foto della Battaglia ho avuto il mio primo incontro nel 2013, a una mostra legata al compianto FoFu (il festival di Fotografia che ha animato per diversi anni Fucecchio) ed è stato subito amore e ammirazione a prima vista: le sue foto superavano la mera esposizione di un fatto di cronaca e si proiettavano direttamente nella ricerca e nelle applicazioni dell’arte fotografica.
Spiace molto che, per alcuni, una delle ultime volte in cui il nome di Letizia Battaglia fu citato dai giornali fu per una polemica abbastanza ridicola per le sue foto realizzate per la Campagna della Lamborghini, una gogna mediatica che non comprese probabilmente lo stile della Battaglia e il contesto delle foto.
Grazie Letizia, se ho amato la fotografia, è grazie anche al tuo lavoro.